LA LEZIONE DI TZIPRAS – QUALE FUTURO PER L’EUROPA

LA LEZIONE DI TZIPRAS

L’EUROPA CHE VERRA’

di Giuseppe Valerio

L’attenzione della politica, dell’economia e della pubblica opinione è stata concentrata ad ogni livello – dal locale all’internazionale –sui fatti della “piccola” Grecia.

Vari e diversi elementi hanno caratterizzato gli avvenimenti:

  1. la capacità dell’Unione europea di saper superare la crisi;
  2. la possibilità di rimettere in discussione accordi e trattati, a cominciare dall’”irreversibilità” dell’euro;
  3. la capacità di un governo “estremista” di sinistra di “governare” un popolo;
  4. la sfida tra economia e politica
  5. ecc…, ecc….

Non entriamo nel merito delle questioni perchè lo scopo del nostro scritto riguarda altro, anche se, pur di striscio, non possiamo non evidenziare come:

  1. ancora una volta l’Unione ha saputo superare le difficoltà;
  2. l’asse franco – tedesco continua dopo 60 anni e si dimostra perno dell’Unione;
  3. i problemi vanno affrontati pragmaticamente, pur nel rispetto delle regole accettate di comune accordo. Se qualche anno fa avessero ascoltato il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, il “problema” greco sarebbe stato già risolto e con una spesa ben dieci volte minore dell’attuale,
  4. i governi di estrema “sinistra” storicamente non si sono dimostrati all’altezza dei problemi di una società democratica e liberale della “civiltà” occidentale;
  5. l’economia non può che essere “governata” dalla politica.

Ad ogni modo occorre prendere atto dell’”azzardo” greco grazie al quale si è rimessa al centro del dibattito politico la questione “EUROPA”.

Dispiace dirlo: ci saremmo aspettati che ciò fosse successo qualche mese fa durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione. Presidenza e semestre tanto enfatizzati e caricati di aspettative – nulla doveva e poteva accadere in Italia per non “turbare” il semestre italiano! -…

Alla luce dei fatti è risultato molto deludente sul piano politico.

Tutta l’opinione pubblica è stata concentrata sulla piccola Grecia, la quale, nonostante la drammaticità della sua situazione economica, ha rilevato il punto “politico” della crisi europea. Crisi che si sarebbe manifestata e si manifesterà ancor di più nei prossimi mesi poiché non toccherà un paese di 11 milioni di abitanti ma uno Stato di oltre 50 milioni e con un peso economico e politico ben differente come la Gran Bretagna.

Come può essere governata la politica economica se esiste una dicotomia tra la gestione della moneta – l’euro – affidata all’Unione, tramite la Banca Centrale Europea – e la gestione fiscale ed economica appannaggio dei singoli Stati?

Occorre superare questo passaggio – il documento dei cinque presidenti(consiglio, eurogruppo, parlamento, banca centrale, commissione) va in questa direzione.

Tuttavia il nodo principale da sciogliere lo pone il capo del governo inglese, il quale ha vinto “inaspettatamente” le elezioni britanniche e superato il referendum autonomista scozzese impegnandosi a “ricontrattare” l’adesione inglese all’UE e a sottoporre gli eventuali accordi ad un referendum popolare nel 2017.

Proprio come ha maldestramente fatto Tzipras in Grecia, salvo poi a dire al suo popolo di “aver scherzato”!

Cameron pone una questione fondamentale: QUALE EUROPA VOGLIAMO NEL FUTURO?

Siamo tornati al punto di partenza ed alla questione politica.

L’Europa è nata – ricordiamocelo – nella parte occidentale del mondo bipolare del secondo dopoguerra per volontà di uomini in gran parte di formazione democratico-cristiana e liberale sull’asse franco-tedesco anche per prevenire gli storici “conflitti” centenari e ricorrenti tra Germania e Francia.

L’Unione europea è stata costruita su indicazione di Jean Monnet col metodo funzionalista, cioè un accordo parziale per volta fino a raggiungere l’accordo totale per un nuovo Stato sopranazionale.

Il punto è stato codificato nella frase del Trattato in cui si parla dell’obiettivo di “creare un’Europa più vicina ai cittadini – a closer Union to the citizens.

La Gran Bretagna vorrebbe abolire o cambiare questa dizione – di stampo federalista – per fare dell’Unione un patto economico di libero scambio ma che non abbia per finalità la totale cessione della sovranità nazionale come gli Stati Uniti.

Qui si inserisce il nostro discorso e la presenza di un’associazione europea come il CCRE e le sue sezioni nazionali (per l’Italia l’AICCRE).

Questa organizzazione si dichiara forte della presenza in ben 46 Stati europei, quindi oltre l’Unione, e solida di circa 100 mila adesioni di enti locali e territoriali.

All’art. 1 del suo Statuto è scritto che l’obiettivo politico del CCRE – Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa – è, appunto, la “costruzione di un’Europa dei cittadini di stampo federalista”.

L’allargamento negli ultimi anni a paesi dell’est e del nord ha nei fatti “diluito” – visto anche l’orientamento degli Stati e dei Governi – questo obiettivo concentrandosi su problemi settoriali, ambiente, governance, terza età, trasporti, energia, parità di genere ecc…, di interesse degli enti locali.

Il risultato pratico è di ritrovarsi ad essere considerati dalle istituzioni europee non i rappresentati di poteri eletti direttamente e democraticamente dai cittadini ma una delle tante lobbies presenti a Bruxelles.

Ora, di fronte alla proposta inglese – tradizionalmente isolata ma geo-politicamente importante – non si può rimanere gelidi ed indifferenti ed in attesa poiché essa va al cuore del problema e rimette in discussione anche l’utilità del CCRE.

Abbiamo sempre saputo che il metodo intergovernativo e poco federale era ed è maggioritario, ma in virtù della bontà a lungo termine della nostra proposta l’Unione europea è cresciuta e dopo 60 anni è divenuta lo “Stato” di tutti i cittadini, capace, pur se ancora parzialmente, di farci sentire tutti uniti.

Ci piace sottolineare come anche gli euroscettici e quelli considerati “populisti” dicono di volere un’Europa “diversa”, ma l’Europa la vogliono anche lorio, compreso il premier britannico Cameron.

Allora, il CCRE “deve” riprendere l’iniziativa e battersi per l’Europa federale.

Un’utopia oggi? Può darsi, ma il fine vale l’impresa e la battaglia!

Diversamente non serviamo più e sarebbe logico chiudere!

All’interno del CCRE la sezione italiana, l’AICCRE, si è sempre caratterizzata su questo fronte rimanendo a volte anche in minoranza.

Il fondatore, Umberto Serafini, ha testimoniato tante volte la solitudine, ma non si è ai arreso ed ha trovato “rispetto” ed “autorevolezza” in sede europea.

La Direzione nazionale dell’Aiccre nello scorso mese di marzo all’unanimità, con una mozione, impegnò la dirigenza nazionale ad operare in questa prospettiva attraverso una strategia che conducesse, tra l’altro,

  • ad un incontro tra le sezioni nazionali più vicine all’ispirazione federalista, vedi la francese…
  • a chiedere formalmente, tramite i delegati italiani al CCRE, l’apertura di un dibattito nel CCRE.

Nelle scorse settimane a Monaco è stato riconfermato segretario generale del CCRE il francese amico Federic Vallier. Ma la riconferma è avvenuta su basi “personali” e di “stima” o su un preciso mandato “politico”?

Ci piacerebbe conoscere che i delegati italiani abbiano ancorato il loro appoggio e voto alla strategia dichiaratamente federalista della sezione italiana.

In conclusione la questione greca – per gli aspetti continentali – si ridurrà al suo peso specifico.

Il problema inglese, invece, investirà l‘intero continente sia come governance europea sia per i rapporti economici e politici che, dopo 60 anni, riguarderanno non solo gli Stati Uniti d’America e la Russia, ma anche Cina, India, Brasile ecc…

Segretario Aiccre Puglia

Membro Direzione nazionale