NO AL NEOCENTRALISMO

IL NEOCENTRALISMO

UNA PROSPETTIVA CHE NON CI PIACE

di Giuseppe Valerio

“A Europe closer to its citizens”, un’Unione europea più vicina ai cittadini non è uno slogan ma una definizione della politica fondamentale dell’Unione.

Naturalmente come ogni definizione è apodittica ma fa riferimento a principi fondamentali come la sussidiarietà ecc…

Sulla base di questo principio l’idea “federalista” di una politica sempre più “vicina” ai cittadini non poteva che far riferimento all’autonomia locale.

E’ ormai cultura comune pensare che ciò che può fare il “sindaco” sono le cose che più toccano “quotidianamente” i cittadini di quel comune. Lo stesso, poi, dicasi delle altre necessità che a cerchi concentrici si allargano sempre di più passando dagli enti di area vasta, alle regioni, ai Parlamenti/Governi, all’Unione…

L’Aiccre, sezione italiana del CCRE, l’associazione più rappresentativa dei poteri locali in Europa, ha nel suo DNA i principi di sussidiarietà e di vicinanza e quindi di autonomia.

La proposta della Carta delle Autonomie locali al Consiglio d’Europa risale al 1981 e, dopo un lungo negoziato fu aperta alla firma degli stati membri il 15 ottobre 1985. È stata firmata da tutti gli stati membri del Consiglio. E’ una delle più importanti iniziative politiche del CCRE – potremmo ricordare anche l’istituzione del Comitato delle Regioni o la Carta per le parità ecc  …

Insomma un’idea di maggiore vicinanza con i cittadini ha portato nel corso degli anni ad adeguare anche in Italia la politica degli enti locali fino alla decisione – magari metodologicamente “inappropriata” da parte della maggioranza dell’epoca (uno scarto di soli 4 voti) del 2001- di modificare costituzionalmente il Titolo V della Costituzione della Repubblica. Si definiva lo Stato italiano come rappresentato in via equiordinata da Comuni, Province, Città metropolitane,  Regioni, Stato. Insomma ciascuno nell’ambito delle “sue” competenze diventata “padrone” nel suo territorio.

Si abolivano tutti i controlli fino ad allora esistenti – nessuno che stava “sopra” poteva “controllare” chiunque stava “sotto”. La modifica costituzionale aboliva proprio questo concetto del sopra e del sotto.

Naturalmente il passo successivo – giustificato dal concetto di rafforzare gli organi esecutivi – dava molto peso, con l’elezione diretta dei sindaci, a queste figure che assumevano la fisionomia tipica dei “podestà”.

Niente era più possibile fare in un comune che il suo sindaco non volesse e nessun consiglio comunale aveva la prerogativa di contraddirlo se non a rischio di sciogliere l’organo e andare a nuove consultazioni.

L’inizio, come ogni cosa nuova che rompa antichi schemi, sembrò buona ed efficace.

Stiamo vedendo lo stesso film sullo scenario più ampio del Governo nazionale anche in questi giorni!

Poi, le situazioni si sono andate modificando insieme agli applausi tributati fino ad allora al nuovo sistema.

Contenziosi tra Stato e Regioni, liti sulle competenze, ciascuno libero di fare ciò che pensava, fino all’intervento della magistratura a cui – in mancanza d’altro – si faceva e si fa ricorso come organo di controllo oltre che di garanzia legale.

Si aggiunga che erano venuti meno i partiti politici, vale a dire gli strumenti di formazione e selezione della classe dirigente politico-amministrativa. E’ riconoscimento comune dell’inadeguatezza di molti personaggi approdati improvvisamente nelle sale di comando degli enti locali italiani.

Allora comincia a cambiare la musica!

Campagne di stampa e più recentemente campagne di “rottamazione”, scandali più o meno veritieri, leggi generalizzate nei consigli regionali sul finanziamento ai gruppi politici ecc.. hanno creato il substrato per operazioni “politiche” inespresse ma tese a scardinare un “sistema” fino alle proposte recenti di riaccentramento di competenze nelle mani dello Stato.

Chi ci legge conosce, per esempio, che noi siamo stati apertamente favorevoli all’abolizione delle province, ma lo abbiamo sostenuto per ragioni politiche e non ragioneristiche o di risparmio.

Invece…

L’attacco violento e la richiesta di tagliare la “casta”, di far risparmiare allo Stato, hanno convinto la pubblica opinione della bontà di eliminare un pezzo della partecipazione popolare “sopprimendo” (!?!) le province.

FALSO! Le province sono ancora lì. Qualcuno dice che scompariranno con la riforma della Costituzione e l’eliminazione della parola “province” dall’art. 114 della Carta costituzionale.

FALSO!

Non si chiameranno province ma ENTI DI AREA VASTA e rimarranno ancora dove sono.

Ciò che si è eliminato è la possibilità di far votare e quindi scegliere ai cittadini coloro che debbono amministrare questi enti. Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla corsa ad ostacoli dei sindaci a diventare presidenti delle province!

Con lo stesso provvedimento si sopprimeva l’indennità ai nuovi amministratori provinciali – ma questi già percepiscono un’indennità nei loro comuni come sindaci, assessori, consiglieri.

Contemporaneamente si aumentavano di 2500 nuove posizioni di assessori  nei piccoli comuni!

Quali risparmi?

Si potevano eliminare le indennità ma lasciare scegliere ai cittadini. Ricordo che nei lontani anni 80 del secolo scorso i consiglieri dei comuni medi percepivano poco meno degli attuali 5 euro a seduta, che, per altro, versavano alle casse delle sezioni di partito come autofinanziamento.

Le province andavano e vanno abolite avendo perduto la loro ragione sociale e politica. Oggi le regioni legiferano e i comuni amministrano: non c’è spazio per le province! Altro che risparmi fasulli.

Il dubbio che nasce da questa operazione è il secondo step, quello delle regioni.

La mancanza di controlli, l’autonomismo  irresponsabile nelle regioni hanno causato danni, anche d’immagine, incalcolabili.

Guardate che non si tratta di questo o quel gruppo politico, di questo o quell’altro consigliere più spregiudicato o più affarista.  E’ il clima generale che ha toccato tutti. Vale a dire è passata l’idea che essendo autonomi possiamo fare quel che ci pare!

Disinvoltamente hanno fatto crescere il numero dei consiglieri regionali, hanno assegnato budget milionari ai gruppi politici ecc…

Questo è vero: l’indignazione popolare, opportunamente eterodiretta dalla stampa ed oggi da qualche dichiarazione di uomini di governo, spinge alla “punizione” dei “cattivi”, degli “approfittatori”. E poichè sono tutti così, occorre cambiare il sistema.

ECCO IL TRUCCO!

Le regioni non hanno motivo d’essere: alcuni dicono accorpiamole in macroaree regionali, altri sopprimiamole, altri AFFAMIAMOLE. Non si spiega la pesante, sistematica, martellante politica di tagli e la sottaciuta politica di trasferire sulle regioni e sui comuni l’onere di “rifarsi” con le tasse locali sui cittadini, i quali ormai insofferenti e tartassati, se la prendono con gli enti locali.

Questa prospettiva non ci piace e lo diciamo forte e chiaro.

I cittadini non ne trarranno giovamento o ne ricaveranno in meglio in efficienza ed offerta di servizi.

Questa ridiventa una questione democratica, una battaglia di difesa di principi fondamentali. Diritto dei cittadini di avere un governo più vicino alle sue esigenze ed il diritto di scegliersi i propri amministratori.

Quaranta anni di battaglie non possono veder sfumare importanti traguardi conseguiti non a favore della “casta” ma a difesa dell’autonomia e dell’efficienza.

Poi, come dovrebbe accadere – ma ciò vale anche per il Governo nazionale – saranno i cittadini a giudicare votando a favore o contro.

Segretario generale aiccre puglia

Membro direzione nazionale